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domenica 15 luglio 2012

Howard Hughes, Follia e Genialità


Howard Hughes, Follia e Genialità

Il genio miliardario, folle e ardimentoso, che di fatto ridisegnò la storia dell’aviazione e del cinema. Fondatore di una delle più grandi compagnie aeree americane, autore di alcune delle più rivoluzionarie pellicole dell’era Holliwoodiana, aviatore spericolato ed ardito detentore di record e protagonista di trasvolate sperimentali. Il migliore dei suoi aerei ancora oggi è in forza presso l’aviazione americana, il più rivoluzionario dei suoi film presenta scene attualmente insuperate. A lui è dedicato The Aviator del 2004, diretto da Martin Scorsese ed interpretato da Leonardo Di Caprio, premiato con tre Golden Globe e cinque Premi Oscar.
Nato nel Texas, il 24 Dicembre del 1905 e morto in volo il 5 Aprile 1976, fu un grande aviatore, un geniale innovatore, un uomo ardimentoso e tenace, capace di imporre la sua volontà unicamente grazie alle sue doti caratteriali. Per niente diplomatico, estroso, folle e palesemente egocentrico non era persona che sapesse farsi amare né dalle grandi platee, né dal volubile pubblico, né dalle molte donne con cui intrattenne burrascose relazioni. Ma era un trascinatore, un genio capace di infondere negli altri le sue stesse passioni, un talento naturale irrefrenabile, giunto a solcare vette che prima del suo arrivo non erano state nemmeno concepite.
Dominato da tre grandi passioni, l’aviazione, il cinema e le belle donne, seppe affermarsi con il suo talento in molteplici campi, stabilendo record e sperimentando innovazioni ardimentose che tutte, nessuna esclusa, segnarono per sempre la storia degli Stati Uniti.
Ma tra tutte le sue passioni la più ambiziosa, la più devastante, quella che a più riprese quasi gli costò la vita fu l’aviazione, ed è infatti l’aviazione il settore che maggiormente deve eterno tributo a questo miliardario eccentrico e geniale che, nel tentativo di dare un senso alla sua vita, trasfuse impegno, dedizione e risorse personali, a costo di enormi sacrifici, nel tentativo, riuscitissimo, di scrivere una nuova e gloriosa pagina di storia per l’ arenautica americana.
Sarebbe certo stato contento se avesse saputo di essere destinato a morire in volo, anche se il suo ultimo trasferimento non fu motivato dalla sperimentazione di nuove rotte o al raggiungimento di un record, ma semplicemente dall’ultimo, ennesimo tentativo di ricolvere, con un ricovero, quella che fu al tempo stesso la più grande delle sue manie e la sua condanna definitiva. L’unica cosa che in pratica, per tutta la vita, lo separò dalla felicità.
Pilota, progettista e costruttore di aeroplani, produttore e regista cinematografico, raffinato, anche se notevolmente eccentrico, playboy, ammaliato dalle belle donne tanto quanto dalla liscia e seducente fusoliera di un apparecchio aereo, nel ventennio americano a cavallo degli anni 30 e 40, fu in assoluto l’uomo più ricco d’America. Erede di una delle maggiori fortune petrolifere di quegli anni, il suo patrimonio dell’epoca era considerato inestimabile e questo gli concesse il privilegio rarissimo di poter osare ovunque e dovunque tutto quello che gli suggerivano la sua fantasia e il suo prodigioso intuito.
Ma non fu solo il suo impero economico a generare l’incantesimo, non furono solo i pozzi di petrolio che riversavano incessantemente nelle sue casse denaro sonante a costruire il mito di un uomo che, sempre e comunque, riuscì nell’intento di realizzare, contro tutti, ogni suo singolo progetto.
Geniale, tenace, volitivivo, dotato di una personalità eccentrica ed effervescente, uomo dalle geniali intuizioni, contraddistinto da un coraggio che rasentava la spericolatezza, seppe rischiare la sua vita, il suo intero patrimonio, e la sua stessa incolumità fisica nel tentativo di realizzare un sogno. Riuscire là dove nessuno aveva mai tentato prima.
L’aereo più veloce, quello più grande, il modello più tecnologico, il record mai abbattuto, le rotte “proibite”, il film più costoso, le migliori attrici, le inquadrature più sperimentali, le sperimentazioni più ardite, la regia più creativa, alcuni suoi record sono tuttora imbattutti, i suoi successi ancora oggi costituiscono un punto di riferimento, la sua leggenda vive ancora.
Gli americani attualmente viaggiano ogni giorno con le sue linee aeree, create praticamente dal nulla, uno dei suoi aerei, il mitico Hercules, è ancora in servizio, le sue pellicole migliori, Gli Angeli dell’Inferno, Scarface e Io Scalderò Il Tuo Corpo, continuano a fare scuola nella cinematografia di tutto il mondo, le sue avventure sentimentali, in pieno ventesimo secolo, sono in grado di scoraggiare chiunque tenti di emularlo.
In ogni modo, ad ogni prezzo e con qualsiasi mezzo, in qualsiasi campo da lui sperimentato, si impose all’attenzione pubblica come un genio, un innovatore, un eroe ardito e folle, qualsiasi cosa che egli realizzò fu allora, e ancora rimane, insuperabile. Egli seppe compiere, da autodidatta, imprese mai eguagliate. È vero, grazie al denaro fu in grado di circondarsi di valide squadre di specialisti, uomini d’affari, contabili, legali, tecnici, ingegneri, ma sua era la linfa vitale che scorreva in ogni singolo progetto, sue le intuizioni, le decisioni, il coraggio, il rischio e la perseveranza.
Contro ogni avversità, contro ogni ostacolo, contro ogni parere, consiglio o suggerimento, egli aveva in mente, lucida come una realtà concreta, la visione di un sogno, ineguagliabile, inestimabile, irraggiungibile. Là lui doveva arrivare, e là arrivava, spesso anche a rischio della vita e certamente a rischio della sua incolumità mentale.
Tanta forza, tanta genialità, tanta dinamica perseveranza, tante energie costantemente infuse in un unico scopo, logorarono presto una tempra già segnata da tare mentali, conducendolo in breve a un delirio compulsivo di origine psicologica. Il disagio di una vita spesa nel tentativo costante di raggiungere sempre un traguardo situato oltre ogni confine conosciuto emerse in turbe mentali, in fobie igieniste ossessive, in paure e terrori che presto arrivarono a condizionargli la vita.
Il mito dell’uomo americano, l’incarnazione perfetta del Self Mad Man, di colui che nonostante l’impero economico seppe comunque ritagliarsi i suoi trionfi solo grazie alle qualità personali, arrivando a prevalere in campi che gli erano totalmente sconosciuti, e scrivendo a chiare lettere il suo nome nell’Olimpo degli Eroi, sfumarono ben presto nelle fobie quotidiane, ossessive e alienanti, della Germofobia, che lo condussero a vivere i suoi ultimi vent’anni segregato nelle stanze di un sontuoso hotel a Las Vegas, situato all’interno del Desert Inn, uno dei suoi Casinò.
L’uomo più potente d’America era ridotto alfine a vivere rinchiuso in una stanza sterile, isolato da tutto e da tutti, nel perpetuo timore di un contagio che a volte gli impediva addirittura di nutrirsi. Ma egli continuava comunque a dominare, da quel volontario esilio, il suo grande impero attraverso miliardi di note, appunti, istruzioni e progetti che puntualmente e quotidianamente faceva pervenire ai suoi collaboratori, e che venivano ciecamente eseguiti.
Si ipotizza che i suoi frequenti disturbi mentali, che gli minarono l’esistenza e di fatto lo condussero alla morte, fossero dovuti a una forma di sifilide contratta in gioventù. Si racconta che sua madre, di cui rimase presto orfano, fosse una figura prepotente ed ossessiva, posseduta anch’essa da un’irragionevole fobia per la pulizia e l’igiene personale.
Per tutta la sua vita Hughes fu ossessionato dalla Germofobia, malattia all’epoca ancora non diagnosticata, e preda di frequenti crisi maniaco compulsive che, spesso e volentieri, lo misero in seria difficoltà, rendendolo temporaneamente inabile, a volte per lunghi periodi, a svolgere anche le più banali funzioni quotidiane e impedendogli di portare a compimento i suoi complessi e ambiziosi progetti. I suoi comportamenti a volte diventavano così bizzarri che solo la sua schiera di fidati collaboratori, i medici che viaggiavano costantemente al suo seguito e che lo affiancavano ovunque, e i suoi assistenti personali furono in grado di evitargli un ricovero in manicomio.
Per lui apparire in pubblico era una vera tortura psicologica, vivere a stretto contatto con gli altri, nutrirsi di cibi non selezionati, frequentare locali, usare i bagni in prosmiscuità, stringere mani, essere toccato, essere fotografato, illuminato dai flash, interrogato, intervistato, tutto questo lo costringeva a un tremendo sforzo di volontà, facendolo sudare freddo in uno stato prossimo al collasso. Ogni evento mondano era causa di gravi disagi psicologici, una prova massacrante di resistenza, cui egli si sottoponeva, a prezzo di inaudite sofferenze, solo per potersi assicurare alfine il coronamento delle sue imprese. Quello era forse l’unico compito che non poteva delegare a nessuno, la sua personalità magnetica, la sua forza di carattere, il suo intuito, il suo genio e la sua follia erano insostituibili, i veri motori di una grande macchina imprenditoriale che faceva capo unicamente e interamente a lui.
Nonostante il suo talento istrionico e le sue crisi periodiche era un uomo che, sapendo quel che voleva, determinato a raggiungere fino in fondo ogni suo scopo, a costo di qualunque sacrificio, amava rischiare e sapeva dominare e pilotare l’opinione pubblica.
Attaccato dalla censura, che tentò di bloccare molte delle sue opere cinematografiche, messo letteralmente sotto accusa quando la sua compagnia aerea tentò la scalata per strappare alla Pan Am il monopolio sulle rotte, portato alla berlina dalle molte donne che tentò di amare, costantemente sulla bocca di tutti, bersaglio continuo di giornalisti e curiosi, forse non brillò per diplomazia e non si contraddistinse certo per la sua propensione ai compromessi, che forse invece gli avrebbero potuto spianare la strada verso il successo, ma decise al contrario di arrivarci per la via più tortuosa, senza cedere di un millimetro né retrocedere mai dalle proprie posizioni.
La sua ostinazione fu premiata.
Partendo praticamente dal nulla, come puro autodidatta, divenne inizialmente famoso per la realizzazione di uno dei film storici della cinematografia mondiale, Angeli dell’Inferno del 1930, praticamente il capostipite di tutti i Kolossal.
Costato oltre 4 milioni di dollari, circa quattro volte il film più dispendioso mai realizzato fino ad allora, con un negativo di oltre 560 ore, suddiviso in centinaia di pizze o bobine, record finora mai uguagliato, girato con tecniche di ripresa sperimentali e innovative, questo film, interamente dedidato all’aviazione, richiese anni di lavorazione.
Quando fu ufficialmente presentato riscosse un enorme successo ma, non contento, Howard Hughes, lo ritirò dai circuiti di programmazione per rimontarlo interamente con la tecnica del sonoro, che proprio allora si affacciava ad Hollywood, ancora in forma sperimentale.
La festa ufficiale per la prima del film del film viene ricordata ancora come l’evento mediatico e mondano più sontuoso di tutta storia del cinema, Howard Hughes seppe essere un regista indimenticabile anche per quell’occasione che diresse e controllò personalmente, ben consapevole del potere dei Mass Media. Così come fece in seguito per il varo di ogni sua iniziativa che, giocoforza, necessitava della pubblica approvazione, dei finanziamenti governative o delle autorizzazioni statali per arrivare in porto, egli fu oculato regista di se stesso e spese finalmente in queste occasioni la notorietà conquistata con il corteggiamento di dive famose del calibro di Katherine Hepburn, Ava Gardner, Jean Harlow, Jane Russel.
Bollato come un pazzo e un invasato dalle allora star della regia del cinema Holliwoodiano, Hughes con questo film si impose come regista, ideatore e produttore, realizzando riprese acrobatiche compiute in volo, con l’ausilio di oltre venti cineprese che riprendevano la scena da angolature diverse, creando una delle opere forse più perfette del cinema d’aviazione, soprattutto nella realizzazione delle scene di massa, dove apparivano più di trenta aerei contemporaneamente coinvolti in battaglia. Scene nelle quali lo stesso Martin Scorsese, quando si è trovato a doverle riprodurre ad oltre 80 anni di distanza, ha ammeso di aver trovato difficoltà, nonostante le moderne tecnologie, le sofisticate strumentazioni e le simulazioni elettroniche oggi disponibili.
Interpretato da Jean Harlow, fu un film interamente voluto da Howard Hughes, un gigantesco omaggio all’aviazione, un capolavoro assoluto che ancora fa scuola, il capostipite di tutti i Kolossal, una produzione realizzata da una sola persona che ne fu al contempo l’ideatore, il regista e il produttore. Sue erano le sceneggiature, sue le tecniche di ripresa, sua la selezione del cast, che aveva scelto, diretto e controllato personalmente.
Da sempre Hughes era abituato ad occuparsi, come un vero imprenditore, anche degli aspetti marginali di ogni sua attività, così come effettuava personalmente i provini per le interpreti dei suoi film, così sceglieva le apparecchiature, provandole in prima persona, e selezionava il personale tecnico e l’equipe di specialisti a cui affidare, sotto la sua costante direzione, ogni progetto.
Mise sotto contratto, lanciò e promozionò con impeccabile istinto manageriale le più celebrate dive di Hollywood, Jean Harlow, Jane Russell, Ava Gardner, Jane Mansfield, si assicurò le scritture di attori del calibro di John Wayne, Robert Mitchum, Thomas Mitchell, Walter Huston, Vincent Price e Boris Karlof, contribuì a lanciare registi indimenticabili come Dick Powell, Preston Sturges e Otto Preminger. La storia del cinema americano reca ovunque la sua impronta di genio, sperimentatore, e grande innovatore.
Ma il Cinema, con i suoi incredibili guadagni, i suoi fasti e le sue luci, gli serviva solo per foraggiare, mantenere e sviluppare l’altra delle sue grandi passioni, quella che di fatto lo divorò fino alla morte, lo sviluppo dell’ingegneria aereonautica.
Tutto quel che fece, e che gli diede fama, notorietà e successo, conquistare record di velocità, acquistare linee aeree, fondare compagnie cinematografiche, realizzare film di cassetta ma capaci di scuotere l’opinione pubblica, frequentare il bel mondo dorato del jet set, corteggiare dive, apparire sui giornali scandalistici, ottenere i permessi per le rotte civili strappate alla Pan Am, tutto fu conseguito in nome di un unico progetto, il suo interesse primario, l’industria aeronautica.
Per ottenere credibilità, fondi governativi, appoggio delle commissioni di collaudo, e contratti di appalto che sostenessero i costi per la progettazione e la realizzazione di nuovi aerei, egli aveva bisogno di attirare su di sé tutta l’attenzione possibile, e le sue attività collaterali in fondo servivano proprio a questo.
Ma ciò non gli impedì di realizzare nella storia del Cinema alcune pellicole epiche che ancora oggi fanno scuola e che sconvolsero i canoni tradizionali, contribuendo notevolmente a costruire il mito di Hollywood. Film come Hell’s Angel del 1930, famoso per le riprese acrobatiche e i combattimenti aerei, uno dei primi film ad essere realizzato in sonoro che vanta alcuni record tuttora imbattuti e che lanciò Jean Harlow, Scarfacedel 1932, noto per essere il primo film veramente “duro” sui gangster e la mafia, ambientato ai tempi del proibizionismo e di Al Capone, e che aprì di fatto la strada al Noir, e Il Mio Corpo Ti Scalderà del 1943, con la mitica Jane Russell, che lo fece incappare nelle ire della censura del codice Hayes per l’eccessiva sensualità delle inquadrature da lui personalmente progettate e volute.
Hughes ebbe il totale controllo, dal 1948 al 1955, di una delle più importanti major cinematografiche di Hollywood, la RKO, che gli servì per ottenere notorietà e fondi per le sue iniziative aeronautiche.
Per non dipendere dalle compagnie che dovevano commissionare ed avvallare i suoi nuovi aerei decise alla fine di fondarne una egli stesso, dando vita alla Hughes Aircraft, inizialmente solo una fabbrica aeronautica, poi trasformatosi nella mitica compagnia aerea TWA, in lotta con la Pan Am per il controllo delle rotte civili americane. Un confronto senza esclusione di colpi che lo vide prima sconfitto e convocato ufficialmente per essere sottoposto a giudizio, e poi celebre vincitore, grazie alla sua capacità istrionica di trascinare dalla sua parte l’opinione pubblica, divenendo da allora l’incarnazione tipica del grande Sogno Americano. Un uomo solo contro tutti che affermava se stesso e la propria industria a dispetto di ogni pronostico e oltre tutte le difficoltà.
Nel 1934 vinse la Sportman’s Cup, volando con uno dei suoi biplani a una velocità superiore dei caccia iscritti in gara nella medesima categoria. Gli occhi del mondo erano su di lui, quando iniziò, nello stesso periodo, a lavorare alla progettazione di velivoli sempre più grandi e sempre più veloci, in un capannone del Grand Central Air Terminal, con la Hughes Aircraft, assieme a una schiera selezionatissima di diciotto tecnici, sotto la guida di Dick Palmer. Sapeva già che avrebbe scritto alcune delle migliori pagine della storia dell’aviazione.
Nel 1938 compì il periplo del globo polverizzando il precedente record ed ottenendo l’attenzione che gli serviva per assicurarsi i sovvenzionamenti governativi necessari alla progettazione dei nuovi aerei.
Magnetico, trascinatore, affascinante, pazzo e geniale al tempo stesso, nel corso della sua vita ebbe quattro incidenti aerei quasi mortali, tutti nel corso del collaudo dei mezzi da lui ideati, progettati e costruiti. Giunse a rischiare la sua stessa vita e la sua incolumità mentale per il raggiungimento del suo grande sogno. Si dice che gli incidenti aerei compromisero del tutto la sua integrità cerebrale a causa dei gravi impatti al lobo frontale. È corsa voce addirittura che alla fine la sua straordinaria equipe che lo assisteva e lo riparava dalle insidie del mondo esterno avesse addirittura preso l’assoluto controllo sulla sua vita segregandolo forzatamente, con la segreta speranza di essere citati nel lascito ereditario.
La verità è che quando Howard Hughes incontrava sulla sua strada uno specialista valente e di cui aveva bisogno non esitava a pagarlo anche quattro o cinque volte il miglior stipendio della categoria, pur di assicurarsene dedizione e servizio. La lealtà dei suoi uomini era a tutta prova e anche se ebbero l’onere di vivere a fianco di un personaggio problematico e difficile, ottennero in cambio l’indiscutibile onore di aver personalmente contribuito alla generazione di un mito e alla progettazione di alcune delle più redditizie attività imprenditoriali a memoria d’uomo.
Ridotto sul lastrico più di una volta a causa delle sue folli imprese, costretto spesso a intervenire con i suoi fondi personali pur di portare a compimento i progetti, fu ricompensato da un’eclatante successo.
I suoi film erano osannati dalla critica e sbancavano i botteghini, i suoi aerei sperimentali a dispetto di ogni previsione volavano e volano ancora oggi, le sue donne, pur odiandolo, ne parlavano come di una personalità irresistibile e travolgente.
Un cavallo vincente dunque, un vero Self Made Man americano che incarnava perfettamente il sogno di una nazione, capace di risorgere più volte dalle sue stesse ceneri, in grado di recuperare terreno dopo ogni crisi della sua malattia che lo costringeva a lunghi periodi di inabilità e di isolamento forzato, alla sua morte lasciò gran parte del’ingente patrimonio alll fondazione medica Howard Hughes per la ricerca scientificia, consapevole com’era che, alla fine, l’unica cosa che non era riuscito a dominare era proprio il suo male.
Forse proprio per questo era letteralmente ossessionato dalla smania del successo, ma non tanto per il denaro che poteva dargli, visto che ne aveva già, né per la notorietà che poteva derivargliene, e che invece detestava, quanto piuttosto per contrastare in qualche modo una fine che sentiva vicina, nel tentativo di scrivere il suo nome a lettere d’oro negli annali della storia.
Ecco allora che costruì l’aereo più veloce, il più grande e il più potente, progettò il film più costoso, il più violento e il più scandaloso, amò le dive più famose, le donne più belle, le attrici più ribelli, cercando con il suo operato, come i più grandi protagonisti di tutti i tempi, di sconfiggere e superare la sua stessa morte.
Così come gli egiziani erigevano le piramidi a memoria della loro esistenza e del loro operato così Howard Hughes costruì dei sogni, inossidabili, concreti, tangibili e realizzati, ma pur sempre sogni.
Scrisse pagine di storia e lasciò di sé al mondo un’immagine conturbante ma definitiva. Un pazzo, un genio, un inventore, un grande pioniere con una futuristica visione del mondo, un affascinante esploratore delle possibilità umane, che seppe portare un passo più avanti l’affermazione di se stesso oltre le porte della memoria, generando un mito unico e ineguagliabile, lasciando di sè un’immagine scanzonata e impudente, ed ottenendo a pieno titolo un posto d’onore nell’Olimpo degli intoccabili.
Sabina Marchesi