In evidenza - ULTIM'ORA - News:

mercoledì 31 ottobre 2012

mai smettere di imparare

mai smettere di imparare 
avere sete di conoscenza
non per vantarsi ma per essere d'aiuto agli altri
il sapere deve essere divulgato non nascosto
questo serve per crescere ed essere pronti alle difficoltà del mondo
 

Massimo
______________________________________________________________
         

se cerchi qualcosa devi aprire la porta

(EN)
« General Secretary Gorbachev, if you seek peace, if you seek prosperity for the Soviet Union and Eastern Europe, if you seek liberalization: Come here to this gate. Mr. Gorbachev, open this gate. Mr. Gorbachev, tear down this wall! »
(IT)
« Segretario generale Gorbačëv, se lei cerca la pace, se cerca prosperità, se cerca liberalizzazione per l'Unione Sovietica e l'Europa dell'est: venga a questa porta. Signor Gorbačëv, apra questa porta. Signor Gorbačëv, abbatta questo muro! »
(Ronald Reagan nel 1987, a Berlino, davanti alla porta di Brandeburgo)
 

______________________________________________________________
         

veritas vos liberat - la verità vi rende liberi

La frase latina veritas vos liberat significa "la verità vi rende liberi". Questa frase fu utilizzata dai cavalieri templari. La frase viene detta da Gesù nel Vangelo di Giovanni (8, 32): "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi"
 
______________________________________________________________
         

lunedì 22 ottobre 2012

aziende e dipendenti produttività

Google, azienda che macina 2-3 miliardi di Dollari di utili a trimestre da qualche anno, che può permettere quasi di tutto.
Il gigante di Mountain View, California, nella sua sede generale è qualcosa a metà tra un centro studio e un parco divertimenti, la politica del benessere dei dipendenti ha infatti portato Google ad offrire pranzi, cene e colazioni gratis per chi ci lavora dentro, per altro solo cibi biologici, tavoli da biliardo, ping-pong, palestre. Inoltre vi sono parrucchieri, dottori, massaggiatori, in realtà è una politica aziendale che soprattutto le grandi società digitali in forte espansione offrono, Apple, Microsoft, Facebook, cioè ci vogliono investimenti. 

Il senso è profondamente economico per almeno due motivi:
- le spese per il benessere sociale, mentale e fisico dei dipendenti abbassano, i costi della salute.
La multinazionale Jonson & Jonson cominciò per prima nel 1995 una strategia del benessere che ha portato in un decennio un taglio di 250 milioni sui costi della Sanità.
- fidelizzazione, l'America ha tradizione di mercato di nomadismo lavorativo, questo tipo di benefici allora serve anche trattenere i dipendenti, per stimolarli a fare carriera all'interno di quella società
(La fidelizzazione è l'insieme delle azioni di marketing volte al mantenimento della clientela già esistente e si realizza principalmente attraverso una serie di strategie volte a creare il più elevato grado di Soddisfazione del clienteFidelizzare con efficacia permette di ottenere un reale ritorno dell'investimento (Return on investment), in particolare per quel che riguarda il medio/lungo periodo.)

incremento produttività
flessibilità degli orari di lavoro e luogo
offerta di servizi e luoghi adatti per la condivisione
Puntare sulla creatività per far crescere le aziende-imprese
investimenti
benessere 
stimolarli

Rainbow, azienda italiana, studio di animazione italiano, noto soprattuto per la popolare serie delle Winx, le celebri fatine sono nate qui,
in una sede avveniristica che spunta a Loreto nelle Marche, come essere nella Silicon Valley in California, America.
Legno, vetro, tecnologia, matite e cervelli che si allenano anche in palestra per creare storie fantastiche,
azienda con un fatturato reale di 55 milioni di Euro, un'azienda fondata nel 1995 che in meno di 20 anni compete con i principali produttori di film d'animazione mondiale, colosso come la Pixar.

Creatività significa poter condividere con il gruppo le varie esperienze, le varie idee, ogni giorno avere dei luoghi per questo, non devono esse propriamente degli uffici ma possono essere anche aree come bar, e ovviamente circondarsi con un paesaggio naturale, colori.
Benessere per favorire estro ma soprattuto produttività, ricetta ben nota ma ben poco applicata, che qui ha dato i suoi frutti.
Dalla colazione offerta al mattino, occasione per un primo scambio di idee, alle sedie ergonomiche e fino alla palestra e ai percorsi benessere.
Tutto serve per coccolare corpo e menti dei 200 dipendenti, con età media 30 anni, attrezzature sportive disponibili a tutti i collaboratori, organizzazione corsi vari di attività sportive, serve moltissimo per creare lo spirito di squadra.

settembre 2011:
20.000 m2 di creatività immersi nella natura.

Per la nuova sede di Rainbow abbiamo pensato ad una struttura che fosse l'ambiente ideale per il nostro sviluppo creativo.

Il moderno edificio di design, situato a Loreto, si articola su oltre 10.000 m2 ed è un sistema integrato di uffici, laboratori, mensa, bar, spazi per il tempo libero tra cui un fitness centre, una piscina e una sala cinema 3D da 80 posti.

L'intera struttura è stata sviluppata con innovative soluzioni eco-compatibili: pannelli solari, fotovoltaici e campi geotermici che producono tutta l'energia necessaria al fabbisogno dell'azienda ed è stato, inoltre, regimentato il sistema delle acque meteoriche, raccolte in speciali cisterne e riutilizzate per l'irrigazione. Completano l'edificio un grande parcheggio sotterraneo, un ampio magazzino e un parco di 10.000 m2.


investimenti grandi in tempi di crisi, con un costo di 18 milioni di Euro per costruire la Magic Town delle Winx, ma i risultati ci sono.

il messaggio è quello che si può avere successo, l'azienda lo dimostra, anche in un periodo di difficoltà di crisi economica sul piano internazionale, purché si abbia una capacità imprenditoriale, spirito organizzativo e soprattutto tanta creatività.
essere in grado di interpretare avere spirito di adattamento in una realtà di continua adattamento utilizzando soprattutto i giovani, utilizzando l'energia e lo spirito vitale che riescono ad inserirsi nella realtà globale così da interpretare correttamente quelle che sono le opportunità, per competere con grandi mercati emergenti che offrono grandi prospettive.

Credere in quello che si fà, bisogna trovare sempre gli stimoli, le idee, le innovazioni per superare i momenti difficili, per andare a competere con i mercati mondiali, fare un investimento e sacrificare un sacco di tempo, fare un salto di mentalità e un cambio generazionale.
Fare dello svago all'interno delle ore di lavoro "divertirsi lavorando".


______________________________________________________________
         

domenica 7 ottobre 2012


Numero chiuso: amico o nemico degli studenti?

In Italia ci si interroga periodicamente sulla legittimità, sull’opportunità e sulle modalità di regolamentazione per l’accesso ai corsi universitari. Questo documento si propone di fornire un contributo in materia, attraverso l’esposizione sintetica di alcuni elementi oggettivi e alcune considerazioni sul numero chiuso, solitamente poco rappresentati.
Il numero chiuso nelle università italiane
A partire dagli anni Ottanta, anche nelle università italiane è stato gradualmente introdotto un sistema di regolamentazione delle immatricolazioni. Seguendo l’esempio di numerosi altri Paesi, l’accesso ad alcuni corsi di laurea italiani è stato subordinato al superamento di una selezione preliminare che si propone di individuare gli studenti potenzialmente più idonei a frequentare con profitto il corso di studi prescelto. 
Attualmente, molti corsi di università private, alcuni corsi di laurea specialistica a livello nazionale (Medicina e Chirurgia, Medicina Veterinaria, Odontoiatria e Protesi Dentaria, Scienze della Formazione Primaria e Architettura), alcuni corsi di laurea di recente istituzione e molti corsi di laurea triennali sono caratterizzati dalla presenza del numero programmato, regolato dalla legge n. 264 del 1999. La maggioranza dei corsi universitari italiani (circa i 2/3) è invece ancora ad accesso libero.
Nella maggior parte dei casi la selezione degli studenti viene effettuata sulla base del risultato di una prova a test e, talvolta, anche tenendo conto del voto conseguito all’esame di Stato e del curriculum scolastico degli ultimi anni.
Il numero chiuso è costituzionale?
Tra le argomentazioni di chi è contrario al numero programmato e ne chiede l’abolizione vi è quella della sua presunta incostituzionalità. Chi sostiene questa posizione afferma che il numero chiuso viola il diritto allo studio e, in particolare, gli articoli 2, 3, 33 e 34 della Costituzione. A questo proposito si osserva che nell’articolo 34 il Costituente, nel disporre che «la scuola è aperta a tutti» (comma 1), aggiunge significativamente che hanno diritto ad accedere ai gradi più alti degli studi «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi» (comma 3). Una regolamentazione dell’accesso agli studi universitari (cioè ai gradi alti degli studi e non alla scuola dell’obbligo) che valorizzi le capacità e il merito degli aspiranti studenti, risulta pertanto legittima anche sul piano costituzionale.
Invece di ostacolare il percorso verso un sistema meritocratico che regolamenti gli accessi ai gradi più alti degli studi, per rispettare il dettato costituzionale bisognerebbe semmai potenziare il sistema di borse di studio da assegnare ai capaci e meritevoli privi di mezzi economici.
Nel novembre del 1998 la Corte Costituzionale ha comunque già sancito la legittimità costituzionale del numero programmato, evidenziando anche la necessità di garantire agli studenti una qualità dell’insegnamento conforme agli standard imposti dall’Unione Europea. Nella stessa sentenza la Corte Costituzionale sollecitava «un’organica sistemazione legislativa», giunta l’anno successivo con la legge n. 264 del 1999, attualmente in vigore.
Stabilita la liceità del numero chiuso sul piano costituzionale, è opportuno valutarne l’efficacia e l’utilità per gli studenti, per il sistema formativo universitario e per la collettività nel suo complesso.
Per esprimere una valutazione complessiva occorre conoscere le ragioni e i principi che hanno portato anche in Italia alla regolamentazione degli accessi in università, misurare i vantaggi che tale scelta comporta e, soprattutto, i risultati a cui ha dato luogo in quei corsi universitari che già da molti anni operano una regolamentazione delle immatricolazioni sulla base di criteri meritocratici
A cosa serve il numero chiuso?
Oltre a rispondere alla necessità di adeguare il sistema formativo italiano alle direttive dell’Unione Europea relative ad alcuni corsi di laurea, in generale la regolamentazione delle immatricolazioni operata attraverso una selezione su basi meritocratiche si dimostra funzionale sotto diversi aspetti.
- Alzare la qualità della formazione
Le università possono offrire un servizio qualitativamente adeguato soltanto commisurando il numero di studenti alle effettive capacità delle strutture didattiche e del corpo docente. Le università devono infatti garantire alle proprie matricole un’adeguata accoglienza e reali opportunità formative. Questo aspetto è particolarmente rilevante per i corsi che prevedono attività di tirocinio, come quelli sanitari, o di laboratorio, come quelli scientifici, dove il numero di studenti è strettamente correlato alla qualità della loro formazione. La programmazione del numero di partecipanti a tali attività è quindi necessaria per assicurare una formazione di qualità elevata, nell’interesse non solo degli studenti ma anche della collettività.
- Ridurre gli abbandoni e il numero di studenti inattivi
Le ultime statistiche sugli studi universitari in Italia indicano che circa il 40% degli studenti immatricolati abbandona l’università senza conseguire la laurea; la metà di essi abbandona già tra il primo e il secondo anno di corso. Le matricole inattive (immatricolati che per 12 mesi non sostengono alcun esame o non conseguono alcun credito) sono invece il 12,5% del totale delle matricole. Nel Decimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario pubblicato nel dicembre 2009 dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) tali indicatori di processo vengono presentati tra i fattori più critici del sistema formativo universitario italiano. Trattandosi di dati medi, ci sono facoltà dove le cose vanno meglio e altre dove il problema è più grave. Come si nota dal grafico seguente, il tasso di abbandono delle matricole tra il primo e il secondo anno risulta più basso proprio nei corsi di laurea che, già da diversi anni, prevedono corsi a numero chiuso a livello nazionale.
Percentuali delle matricole dell’anno accademico 06-07 che non si sono iscritte l’anno successivo (Fonte: ISTAT).
Una correlazione analoga si verifica anche con riferimento alla percentuale di matricole inattive, decisamente più bassa nei corsi di laurea che prevedono una selezione all’ingresso (per esempio: nella facoltà di Medicina e Chirurgia, dove il numero chiuso è in vigore da più tempo e a livello nazionale, la percentuale di matricole inattive è pari al 5,1% contro il dato medio di tutte le facoltà pari al 12,5%).
- Aumentare il tasso di successo negli studi
Dai dati ISTAT (Università e lavoro: statistiche per orientarsi, 2009) emerge che i corsi di laurea che da diversi anni hanno istituito a livello nazionale il numero chiuso sono quelli con la più alta probabilità per gli studenti di conseguire la laurea. Nei corsi dell’area medica per esempio gli studenti che nel 2007 si sono laureati nei tempi previsti dal corso di laurea sono l’81,5% contro un dato medio nazionale pari a circa il 37,2%. Di conseguenza nel 2007, mentre complessivamente il 62,8% degli studenti si è laureato fuori corso, nel caso dell’area medica solo il 18,5% degli studenti si è laureato fuori corso.
- Migliorare l’efficienza delle università e ridurre i costi sociali
Circa la metà delle matricole dei corsi universitari ad accesso libero non riesce a portare a termine gli studi. Questo significa che nei corsi senza numero chiuso la selezione è comunque presente, non all’ingresso, ma nella forma dell’abbandono negli anni successivi.
Tutto questo determina costi economici e disagi psicologici e sociali molto alti, non solo per gli studenti direttamente interessati e le loro famiglie, ma per l’intero Paese. Una selezione “naturale” al secondo o al terzo anno di studi, come avviene ora in Italia con tassi di abbandono molto alti specie nei corsi di laurea ad accesso libero, rappresenta un costo inutile per i contribuenti e un problema serio per gli studenti che abbandonano e che avrebbero invece dovuto essere indirizzati fin da subito verso un percorso formativo o professionale differente.
Per investire, come è giusto e doveroso fare, sui giovani potenzialmente in grado di laurearsi e di restituire così valore al Paese, è necessario, al contempo, minimizzare le spese per pagare gli studi di chi non li porterà a termine. Le ripercussioni negative di un sistema che non seleziona all’ingresso gli studenti sui quali investire non si limitano infatti ai maggiori costi economici complessivi e al disagio di coloro che abbandonano e che ritardano di alcuni anni il loro ingresso nel mondo del lavoro, ma toccano molto da vicino anche gli studenti capaci e seriamente motivati, che devono fare i conti con una situazione di sovraffollamento che abbassa inevitabilmente la qualità della loro formazione.
- Migliorare le prospettive occupazionali
Ogni passo nel percorso formativo e professionale di un individuo, dal termine della scuola dell’obbligo fino all’inserimento nel mondo del lavoro e oltre, è caratterizzato da una certa selettività; se i primi passi del percorso scelto sono poco selettivi lo saranno di più i successivi e viceversa. Per questo motivo gli studenti che si laureano in un corso universitario ad accesso libero incontrano spesso grossi problemi al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro. Un esempio è offerto dalla maggioranza dei laureati in Giurisprudenza (corso di laurea quasi ovunque in Italia ad accesso libero) che non hanno la possibilità di diventare notai, avvocati o uditori giudiziari, per l’elevata selezione degli esami per l’accesso a tali professioni. La differenza con l’inserimento professionale di un laureato in Odontoiatria (esempio di un corso di laurea che da oltre 20 anni prevede una seria selezione in ingresso) è eloquente.
Programmare gli accessi all’università significa quindi poter assicurare migliori prospettive occupazionali ai laureati, adeguando il loro numero ai bisogni effettivi che si registrano nei diversi settori professionali. Aumenta in questo modo la probabilità di intraprendere fin da subito una carriera universitaria in un campo che offra buone possibilità di impiego e si riduce il rischio di ritrovarsi, una volta laureati, con possibilità occupazionali scarse e/o poco coerenti con il proprio percorso di studi.
- Favorire la mobilità sociale
In Italia, più che in altri Paesi, il ricambio generazionale per alcune professioni sembra non avvenire solo su basi meritocratiche ma anche per via “ereditaria”. I “figli di nessuno” difficilmente riescono ad avere le stesse opportunità dei figli dei professionisti. Questo si verifica in particolare nelle professioni dove i filtri di accesso sono collocati al termine e non all’inizio del percorso di formazione universitaria. Avvocati, notai e commercialisti sono forse i casi più noti. Questo fenomeno, che non favorisce la mobilità sociale, risulterebbe certamente ostacolato da una programmazione nazionale degli accessi all’università correlata alla domanda del mercato del lavoro. La diffusione di una selezione meritocratica all’inizio degli studi universitari renderebbe infatti più semplice ai laureati l’inserimento nel mondo del lavoro, contribuendo così a creare anche in Italia le condizioni di pari opportunità ora non sempre garantite.
- Aumentare la competitività delle università
Per alcune università, come per esempio la Bocconi di Milano e la LUISS di Roma, l’adozione del numero chiuso è stato un fattore che ha contribuito a determinare il successo e il prestigio dell’ateneo nel mondo accademico e nel mondo del lavoro. La prova di ammissione obbligatoria ha infatti permesso fin dall’inizio di individuare gli studenti più preparati, con capacità logiche e di apprendimento più adeguate al tipo di studi proposti, e quindi con maggiori possibilità di successo. Le università italiane sono infatti inserite in un sistema competitivo che da tempo ha superato i confini del nostro Paese. In questo contesto il numero chiuso è uno degli strumenti che permettono ai migliori atenei di affrontare la sfida internazionale. Gli studenti delle migliori università del mondo hanno dovuto infatti superare delle selezioni molto dure per potervi intraprendere gli studi ed è con loro che gli studenti italiani devono competere oggi nelle aule universitarie e competeranno domani sul mercato del lavoro.
In definitiva, più che garantire un generico diritto a frequentare le lezioni, anche l’Università italiana deve cercare di offrire ai propri studenti la possibilità concreta di laurearsi conseguendo una formazione di qualità elevata che rappresenti un valore nel mercato professionale nazionale e internazionale. E siccome in Italia, come negli altri Paesi, le risorse destinate all’università non sono e non potranno mai essere infinite, così come non sono infiniti gli sbocchi professionali che si aprono ai laureati, è necessario orientare e selezionare gli studenti prima degli studi universitari in base alle capacità e alle inclinazioni individuali e in base alle esigenze del mondo del lavoro. In questo modo ogni università potrà certamente investire meglio le risorse disponibili.
La prova a test come strumento di selezione
La prova di valutazione a test non è il solo strumento disponibile per individuare i candidati più motivati e potenzialmente più portati per un certo corso di studi. Altri criteri di valutazione sono per esempio l’esame dei curricula degli studenti (voti dell’esame di Stato e degli ultimi anni delle scuole superiori) oppure l’esito di colloqui che potrebbero essere organizzati appositamente dalle università.
Il test a risposta multipla è tuttavia lo strumento di valutazione più utilizzato al mondo non solo in ambito universitario ma anche nei processi di selezione sul lavoro che coinvolgono un elevato numero di candidati. Anche in Italia l’esperienza ha dimostrato che, dove il test di ammissione/valutazione è stato progettato e gestito con serietà e professionalità, esiste una forte correlazione fra il punteggio conseguito nel test e i risultati ottenuti nel corso degli studi universitari. In particolare, ricerche autorevoli condotte dalle università o dal CNVSU hanno mostrato che:
  • il tempo di conseguimento della laurea è inferiore per gli studenti che ottengono un punteggio elevato nella prova a test;
  • gli studenti che ottengono un buon punteggio nella prova di ammissione superano gli esami con votazioni più alte e si laureano con una votazione mediamente più elevata rispetto ai candidati posizionatisi nelle fasce inferiori della graduatoria;
  • il numero di esami superati in corso è tanto più elevato quanto maggiore è il punteggio conseguito nella prova a test;
  • regolamentare l’accesso in università attraverso adeguate prove a test ha consentito di indirizzare gli studenti verso i corsi di laurea che risultano maggiormente idonei alle attitudini dei singoli.
Il CNVSU nel suo Decimo rapporto sullo stato del sistema universitario riassume nel modo seguente quanto appena detto: «le facoltà con gli studenti più regolari sono quelle dove vi sono prove di selezione all’ingresso e accessi programmati».
Le stesse ricerche sopra citate hanno mostrato che il voto di maturità e i risultati scolastici degli ultimi anni, se utilizzati come elemento di valutazione unico o prevalente, possiedono capacità predittive sull’esito degli studi universitari generalmente inferiori a quelle offerte dalle prove a test. Il motivo è prevalentemente legato al fatto che i voti scolastici non sono in grado di discriminare tra i diversi tipi di scuola superiore (liceo, istituto tecnico ecc.) e tra i diversi livelli di qualità e criteri di valutazione dei singoli istituti o commissioni esaminatrici.
La presenza di una prova selettiva di tipo meritocratico all’ingresso, oltre a svolgere una preziosa funzione di supporto all’orientamento agli studi universitari, rappresenta per gli studenti più motivati un forte stimolo a intraprendere un percorso di formazione specifico che si è rivelato poi utile anche nel percorso di studi universitari. È sempre più condivisa infatti l’opinione che la scuola spesso non riesce ad assolvere al compito di preparare adeguatamente gli studenti per gli studi universitari. L’incentivo offerto dalla presenza degli esami di ammissione a intraprendere una preparazione pre-universitaria deve quindi essere visto in termini certamente positivi.
In conclusione le prove a test, lontane dal discriminare gli studenti in base all’ambiente sociale di provenienza, se ben progettate e gestite, garantiscono criteri di valutazione unicamente meritocratici, concorrendo così al raggiungimento di un sistema competitivo, del quale beneficiano gli studenti stessi. Il prestigio di un ateneo è infatti determinato anche dalle opportunità di lavoro dei suoi laureati: condurre fino alla laurea un numero limitato e scelto di studenti, nei tempi previsti e con buoni curricula di studi, consente di attivare canali di collegamento privilegiati tra le università stesse e il mondo produttivo e professionale.
Quanto detto consente di capire il motivo per il quale gran parte degli studenti che frequenta o si è laureato in un corso con accesso programmato, avendone sperimentato personalmente i vantaggi, si dichiara favorevole alla selezione delle aspiranti matricole tramite prove a test.
Come migliorare il sistema attuale
La maggioranza dei corsi universitari delle università statali italiane è ancora ad accesso libero. Per le considerazioni sopra esposte il sistema universitario, gli studenti e la collettività nel suo complesso avrebbero bisogno di una rapida diffusione della regolamentazione degli accessi all’università attraverso selezioni di tipo meritocratico.
È opinione condivisa che il sistema di selezione attualmente in uso potrebbe essere migliorato nella direzione di una maggiore uniformità e trasparenza. In particolare sarebbe auspicabile definire alcuni modelli di test standard da utilizzare a livello nazionale, uno per ogni area di studio o per raggruppamenti di aree di studio, così come già è stato fatto per alcuni corsi di laurea (medica, architettura e scienze della formazione primaria).
Per i motivi già espressi in precedenza non si ritiene opportuno che il voto di maturità e/o i voti conseguiti negli ultimi anni della scuola superiore abbiano un peso sull’esito della selezione per l’accesso all’università. Bisogna infatti consentire a uno studente diplomato con un voto basso in un liceo severo di potersi confrontare utilmente con uno studente diplomato con un voto alto in un istituto con professori di “manica larga”.
Da alcuni mesi è allo studio l’introduzione di una prova nazionale a test nell’esame di Stato gestita dall’INVALSI così come è stato fatto per l’esame di terza media. Se tale progetto dovesse realizzarsi, l’esito di tale prova potrebbe concorrere a fare media con il risultato del test universitario. A differenza dei voti di maturità e degli ultimi anni di scuola, si tratterebbe infatti di una prova oggettiva e uguale per tutti.
Il colloquio come strumento aggiuntivo di valutazione introdurrebbe una componente discrezionale nel percorso di selezione, terreno fertile per favoritismi e raccomandazioni, e non sarebbe comunque praticabile per via dei costi e dei tempi necessari.
Come è noto, negli ultimi anni si sono verificati casi di prove a test contenenti alcune domande errate. È singolare che parte dell’opinione pubblica e della stampa abbia reagito a questi casi criticando in toto la scelta di regolamentare l’accesso ai corsi e lo strumento dei test; facendo un parallelo con l’esame di maturità, è come se la presenza di un errore nella traccia di una prova scritta dovesse mettere in discussione l’utilità e l’esistenza dell’esame stesso. È evidente invece che i test devono semplicemente essere fatti bene: devono essereaccuratamente progettati, calibrati e formulati in funzione delle caratteristiche e delle potenzialità degli studenti che si vogliono individuare e devono essere perfezionati nel tempo attraverso apposite analisi statistiche in modo da massimizzare la correlazione tra esito del test e performance degli studenti negli studi universitari. In questa direzione si è per esempio mosso il MIUR, negli ultimi anni riducendo nelle prove a test dell’area medica e di architettura il peso dei quesiti nozionistici e di cultura generale a favore dei quesiti logico-attitudinali e di ragionamento.
Il sistema di selezione in uso per l’accesso al corso di laurea in Medicina viene periodicamente criticato da alcuni medici. Questa critica si fonda sul seguente ragionamento: «Sono un bravo medico che esercita con successo la professione da decenni; se partecipassi ora alla selezione non riuscirei a entrare al corso di Medicina; quindi la selezione è sbagliata». Tale ragionamento si basa su un presupposto errato che rende la critica priva di fondamento: le prove di selezione non possono e non devono infatti misurare le capacità professionali di medico, che gli studenti neodiplomati naturalmente non possiedono, ma si devono limitare a verificare la preparazione dei candidati acquisita negli studi precedenti e le loro attitudini e potenzialità di apprendimento verso le discipline medico-scientifiche.
A differenza di quanto avviene ora, sarebbe opportuno ricorrere a graduatorie uniche nazionali per ogni corso di laurea, dando così la possibilità agli studenti più capaci di scegliere l’università presso la quale frequentare e laurearsi. In questo modo la selezione sarebbe più equa e si favorirebbe contestualmente l’instaurarsi di un sistema universitario fondato sul merito e sulla concorrenza, ingredienti essenziali per una formazione di qualità e per una maggiore mobilità sociale. A questo proposito si osserva che il problema della mancanza di una graduatoria unica nazionale per corso di laurea non è, come spesso denunciato, il fatto che si sono registrati punteggi soglia differenti per accedere ai diversi Atenei. Questa infatti è una normale conseguenza della sana competizione che dovrebbe esserci anche in Italia tra i diversi Atenei. Ciò che invece si deve evitare è che uno studente con un punteggio al test insufficiente per accedere all’Ateneo A non possa iscriversi all’Ateneo B per il quale lo stesso punteggio risulta invece sufficiente.
Come già detto, queste modifiche andrebbero tuttavia accompagnate da un graduale aumento dei fondi dedicati alle borse di studio da assegnare agli studenti migliori in modo che possano scegliere liberamente l’università anche se lontana dalla propria residenza.
Le informazioni sui test nazionali e sul sistema in uso dovrebbero infine essere quanto più precise e dettagliate possibili e dovrebbero essere diffuse con grande anticipo in modo da consentire agli studenti di intraprendere le proprie scelte in modo consapevole già nel corso degli ultimi anni delle scuole superiori, in occasione dei percorsi di orientamento alla scelta degli studi post diploma.


Accesso all’università: la garanzia dei test

La prova di valutazione a test non è il solo strumento disponibile per individuare i candidati più motivati e potenzialmente più portati per l’accesso alla facoltà di Medicina e alle altre facoltà con numero programmato. 
Spesso vengono proposti altri criteri di valutazione come l’esame dei curricula degli studenti (voti dell’esame di stato e degli ultimi anni delle scuole superiori) oppure l’esito di colloqui che potrebbero essere organizzati appositamente dalle università (il guardarsi in faccia secondo alcuni). Il test a risposta multipla è tuttavia lo strumento di valutazione più utilizzato al mondo non solo in ambito universitario ma anche nei processi di selezione sul lavoro che coinvolgono un elevato numero di concorrenti.
Tale diffusione è dovuta a tre importanti vantaggi che solo le prove a test possono garantire. 
1) Oggettività: il punteggio totalizzato dai candidati non è influenzato da valutazioni personali, ma ottenuto attraverso una procedura informatizzata e standardizzata. 
2) Efficacia: i test ben progettati e formulati consentono di individuare gli studenti che possiedono le conoscenze, le potenzialità e le attitudini richieste dal corso di studi. 
3) Rapidità: automatizzando la scansione degli elaborati è possibile correggere le prove di un elevato numero di candidati e ottenere i relativi punteggi in modo comparativo in poco tempo.
In Italia l’esperienza ha dimostrato (relazione Cnvsu 2011 e altre autorevoli fonti) che esiste una forte correlazione fra il punteggio conseguito nel test e i risultati ottenuti nel corso degli studi universitari. 
Inoltre, nella facoltà di Medicina e Chirurgia con accesso a test multiplo valgono quattro importanti aspetti: 1) le iscrizioni agli anni successivi avvengono con regolarità a dimostrazione che la selezione funziona al contrario delle facoltà dove l’accesso è effettuato secondo altri parametri; 2) gli studenti che ottengono un punteggio elevato nella prova a test si laureano prima degli altri; 3) gli studenti che ottengono un punteggio elevato nella prova di ammissione superano gli esami con votazioni più alte e si laureano con una votazione mediamente più elevata rispetto ai candidati posizionatisi nelle fasce inferiori della graduatoria; 4) il numero di esami superati in corso è tanto più elevato quanto maggiore è il punteggio conseguito nella prova a test.
Pertanto non c’è da inventarsi niente di nuovo, semmai migliorare la prova a quiz, attraverso un data base di domande a risposta multipla molto esteso, aggiornabile ogni due anni, da cui poi selezionare a sorteggio le domande di concorso che dovranno essere le stesse per tutti gli atenei pubblici e privati, con prova di accesso unica (stesso giorno per atenei statali e privati) e graduatoria unica nazionale. In questo modo gli studenti potranno studiare ed esercitarsi sulla prova. Si potrebbe, infine eventualmente integrare il punteggio della prova a test con una percentuale basata sul curriculum scolastico e non sul voto dell’esame di stato.
Le prove a test non discriminano gli studenti in base a fattori legati al reddito familiare o all’ambiente sociale di provenienza e garantiscono criteri di selezione meritocratici, favorendo il raggiungimento di un sistema competitivo. 
Il successo delle prove di accesso a test multipli analogamente al modello di Medicina è confermato anche dal fatto che per il prossimo anno accademico, 839 corsi di laurea su 4.389 (il 19%) dei corsi attivi negli atenei italiani, adotteranno una procedura di selezione a test.
Giuseppe Novelli, consiglio direttivo ANVUR
Il Messaggero, 10 agosto 2011