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venerdì 22 marzo 2013


 

Pietro Mennea

Pietro Paolo Mennea (Barletta, 28 giugno 1952Roma, 21 marzo 2013) è stato un atleta, politico e avvocato italiano.
Campione olimpico (1980) e detentore del primato mondiale dei 200 metri piani dal 1979 al 1996 (con il tempo di 19"72, attuale record europeo).

Nasce in una modesta famiglia di Barletta. Terzo di cinque figli, Il padre è sarto e la mamma casalinga, frequenta sin da piccolo la palestra della strada, attività ricreativa prediletta dai ragazzini meridionali. Dopo le medie si iscrive a ragioneria. A 15 anni, su uno stradone di Barletta, sfidava in velocità una Porsche color aragosta e un'Alfa Romeo 1750 rossa: a piedi, sui 50 metri, batteva l'una e l'altra e guadagnava le 500 lire per pagarsi un cinema o un panino.[1] Prosegue gli studi all'I.S.E.F.
Sposa Manuela Olivieri, avvocatessa. Si laurea a Bari una prima volta in scienze politiche,[2] su consiglio di Aldo Moro, allora ministro degli Esteri. Poi consegue anche le lauree in giurisprudenza, scienze dell'educazione motoria e lettere.
Pietro Mennea esercitava la professione di avvocato ed è stato autore di venti libri.

Mennea è stato docente a contratto di Legislazione europea delle attività motorie e sportive presso la Facoltà di Scienze dell'Educazione Motoria dell'Università "Gabriele d'Annunzio" di Chieti-Pescara.[4]

Oltre alla carriera sportiva, ha operato come insegnante di educazione fisica, curatore fallimentare, eurodeputato (a Bruxelles dal 1999 al 2004) e commercialista.[4]


La figura centrale, ripete sovente Pietro Mennea, è stata il Prof. Autorino, avvocato senza toga, professore di educazione fisica e pigmalione di colui che da lì a breve sarebbe diventato per gli sportivi italiani la "freccia del sud".
Il prezzo da pagare per un giovanotto pieno di sogni è molto alto: è inevitabile che le "fughe" a Roma con gli amici per "catturare" donne, gli atteggiamenti irrequieti per esser fedeli ad un progetto più utopico che concreto, debbano lasciare il posto in quell'epoca ai sacrifici, alle rinunce.
Qua è l'uomo che decide.
E' da qui che passa la strada per il successo, "solo dal duro lavoro e dalla dedizione si può costruire una carriera importante" avrebbe spiegato più tardi Primo Nebiolo, figura molto cara e vicina nel corso degli anni a Mennea; Pietro Mennea ha le idee chiarissime.
il poco credito avuto dai suoi osservatori, perplessi dalla gracilità fisica del ragazzo, diventano punto di partenza per un modello di vita esclusivamente poggiante su allenamenti senza tregua, dove le festività esistono solo sul calendario e le distrazioni non han ragione di essere.
La convinzione nei propri mezzi, un trainer severissimo, la voglia di emergere.
"mi allenerei otto ore al giorno. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni"
Le fatiche di Mennea sono state codificate. «Convegno in Germania sulla velocità. Metà anni Ottanta. Parlo del mio training: 25 volte i 60 metri, 10 volte i 150 metri. Gli altri tecnici sbigottiti: ma se i nostri atleti al massimo fanno 6 volte i 150. E lì che ho capito che il doping aveva vinto: come facevano ad allenarsi tre volte meno di me e ad ottenere risultati?
"Io allenavo la fatica con l' allenamento»
Continuavo ad imparare. E a stare nella realtà. Nel ' 73 con i primi guadagni mi comprai una Lancia Fulvia Montecarlo da rally, ma non ci dormivo la notte per la paura di aver fatto il passo troppo lungo. E la rivendetti»
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